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La “povertà assoluta” e la “povertà relativa” sono concetti unidimensionali in quanto definiti rispetto ad un’unica variabile che può essere tanto il reddito, quanto la spesa per i consumi.
Queste misure inoltre riconducono il sociale entro due sole categorie – quella dei benestanti e quella dei poveri – e finiscono per perdere di vista le molteplici forme di vulnerabilità che costituiscono stati intermedi tra il benessere e la povertà e si che originano da particolari accadimenti di corso di vita - la perdita di un lavoro, la dissoluzione del legame familiare, il peggioramento delle condizioni dì salute.
La “povertà soggettiva” viene considerata a partire dal grado di soddisfazione dei soggetti nei confronti della salute, della casa, della situazione economica, delle reti di supporto familiare e amicale, del tempo libero e via dicendo.
Il concetto tradizionale di povertà viene quindi inserito in logiche più ampie che rimandano al diniego dei diritti sociali di cittadinanza, alle difficoltà incontrate nel trasformare risorse in capacità.
Oggi il concetto di “povertà” lascia il passo al concetto di “esclusione sociale”, il termine esclusione sociale si riferisce infatti all’impossibilità, l’incapacità o la discriminazione nella partecipazione ad importanti attività sociali e personali per cui l’individuo perde la percezione di appartenenza ad una data comunità.
Gli esclusi sono dunque coloro che non hanno possibilità di accedere alla vita sociale in termini di occupazione, istruzione e formazione, possibilità formare una famiglia, ecc...
E’ necessario dunque oltrepassare la mera preoccupazione legata alle differenze di reddito per concentrarsi sugli aspetti relazionali dell’esclusione.
L’esclusione sociale si riferisce infatti ad una coincidenza di posizione economica marginale ed isolamento sociale.
La coesione sociale si basa su pilastri quali l’accesso alle risorse, la possibilità e la capacità di rivolgersi alle istituzioni, la famiglia, le reti informali ecc..., l’erosione di una o più di queste dimensioni, dovuta alla mancanza di mezzi materiali o immateriali delle famiglie o degli individui, l’esistenza di barriere sociali, legali o amministrative che ostacolano l’accesso di alcuni gruppi all’occupazione, ai benefici del welfare, alle istituzioni di cura e assistenza, e le caratteristiche cognitive, emotive o personali che ostacolano le persone dallo stabilire o mantenere i legami sociali sono tutti fattori associati alla deprivazione e all’esclusione sociale.
Se consideriamo l’esclusione sociale come causa, significa affermare che esiste un “soggetto” che esclude e, di conseguenza a ciò, la convinzione che le istituzioni e lo stato abbiano un ruolo di nostri tutori/benefattori e debbano assumere un atteggiamento responsabile, “protettivo”, “riparatorio” nei nostri confronti o di “tamponamento” della situazione e, nel momento in cui non lo fanno, scatta in noi la rabbia, la protesta, il senso di ingiustizia e di impotenza.
Se, invece, l’esclusione sociale è una sensazione, reale, in quanto ciò che l’individuo prova, ma sensazione soggettiva, la richiesta di soluzioni ad un sistema basato sullo sfruttamento dell’individuo solo come forza lavoro diviene inutile e frustrante.
La convinzione limitante sta nel fatto di credere valiamo qualcosa solo quando abbiamo un lavoro retribuito che ci dà sufficiente potere d’acquisto, ferie, week end liberi, “ponti infrasettimanali, il calcio, il gran premio …
Come se il valore individuale di ogni essere umano sia misurato con tali metri e il bisogno di appartenenza appagato.
Così facendo (pensando) siamo noi stessi a dare potere a chi ci governa, ai politici, che “possono esistere” solo attraverso di noi e non il contrario.
Così facendo (pensando) siamo noi stessi a creare, intorno a noi, una gabbia dalle sbarre invisibili, e diventiamo schiavi di un sistema che consideriamo inadeguato ma dal quale non vogliamo staccarci, che non vogliamo abbandonare o non ne abbiamo il coraggio, proprio perché ci sentiamo piccoli e impotenti.
Le povertà oggi sono dunque delle povertà composite, in quanto all’interno di questa condizione convivono diversi livelli di bisogni, quali:
• bisogni primari, relativi alla disponibilità di beni materiali di sopravvivenza;
• bisogni secondari, la cui soddisfazione implica la responsabilità delle istituzioni (salute,igiene,assistenza,scuola,etc.);
• bisogni di relazionali relativi alla caduta dei legami comunitari ed alla mancanza di rapporti interpersonali significativi sul piano dell’affettività.
I bisogni relazionali, che hanno come oggetto la ricerca di un rapporto umano significativo e di un legame affettivo, rivelano tutta la loro "incompressibilità", nella misura in cui si logorano i rapporti interpersonali all'interno della stessa famiglia, della società civile e tra società civile e gruppi marginali.
Ed è sui bisogni relazionali che si costruiscono le nuove povertà, povertà che potremmo definire trans-materiali in quanto si collocano contemporaneamente all’interno ed all’esterno della sfera materiale e sono anzi decisamente proiettate verso la “sfera immateriale” dei comportamenti sociali.
Con il termine “nuove povertà” si fa riferimento ad una povertà non più intesa come condizione economica oggettivamente misurabile, ma come senso di insicurezza, di instabilità, una zona grigia sempre più ampia dove povertà è anche fragilità di relazioni, precarietà lavorativa, insicurezza sociale, malattia, senso di inadeguatezza ad un sistema dominato dalla competitività e dalla produttività.
E’ possibile quindi individuare 4 distinte categorie di popolazione che possono essere incluse nel concetto di nuove povertà:
• gli anziani soli;
• le giovani coppie;
• i genitori single;
• i disoccupati.
La condizione degli anziani, in generale, rappresenta una delle aree di frontiera tra il vecchio e il nuovo nelle situazioni di marginalità sociale.
I bisogni principali evidenziati dalle persone anziane riguardano infatti: l’uscire dalla
solitudine, il comunicare con altre persone, il sapere a chi rivolgersi in caso di bisogno, l’occupare il tempo libero in modo costruttivo, la mancanza di contatti con i giovani e l’assenza di stimoli culturali.
Le giovani coppie rientrano comunque tra le tipologie di famiglie a rischio di nuove povertà in quanto soggette alla compresenza di una moltitudine di bisogni materiali, quali l’accesso alla casa, il mantenimento dei nuclei familiari, e relazionali, quali ad esempio la fragilità interna ai nuovi nuclei familiari.
Una situazione caratterizzata da un continuo affanno quotidiano per far fronte alle esigenze abitative e di consolidamento del nucleo familiare indebolisce d’altro canto la possibilità di costruire reti di sostegno esterno ed eventi imprevisti come ad esempio la perdita di un lavoro, una maternità improvvisa o una malattia possono produrre effetti devastanti sulle nuove famiglie caratterizzate da maggiore fragilità dei legami interni.
Per famiglia mono-genitoriale si intende una tipologia familiare in cui la sola madre o il solo padre vivono con uno o più figli, si tratta di forme atipiche in quanto, a differenza dei nuclei uni-personali, delle coppie con o senza figli, che possono essere considerate espressione di una determinata fase del ciclo di vita, sono l'espressione di una convivenza interrotta (per la morte di un genitore o per la separazione dei coniugi) o mai iniziata (le madri nubili) o di una convivenza “di fatto” (non registrata anagraficamente).
Le madri e padri soli, con figli conviventi, in cui tale condizione è determinata da una separazione o un divorzio, sperimentano, quasi inevitabilmente, un isolamento superiore alla vedovanza, la rete di aiuti informali è più debole.
Ancor più se si parla di padri separati, non conviventi con i figli, che vivono una condizione di totale abbandono e isolamento. L’aumento delle esigenze economiche anche dovute alla gestione di due realtà di vita e abitative, spesso la perdita della casa acquistata in comunione, al contributo per il sostentamento dei figli ordinario e straordinario e i bisogni affettivi, i conflitti interiori e il senso di solitudine, fallimento, impotenza, conflitti, rivalse e ricatti morali ed emotivi … tutto ciò contribuisce ad una condizione di povertà.
La disoccupazione e l'aumento dei contratti di lavoro a termine, nelle sue varie forme, che ha determinato l’aumento del rischio di disoccupazione per i lavoratori poco o meno qualificati e molto qualificati, in generale, la “precarizzazione” della forza lavoro; una incertezza e una fragilità delle condizioni reddituali che rappresentano, un tempo soprattutto per i giovani, oggi in ogni fascia di età, l'impossibilità di progettare un futuro.
E’ possibile rilevare nelle nuove povertà una dominanza dei bisogni relazionali che rappresentano anche l’unica chiave di accesso per l’attivazione di strategie significative di recupero e reintegrazione di queste persone.
Questo scenario richiede l’attuazione nuove azioni che favoriscano la rivalutazione dell’essere umano non solo come forza lavoro, ma attraverso il suo riconoscimento e il suo diritto alla vita e dei tempi per viverla, l’attivazione di reti di solidarietà e condivisione, un sistema di protezione sociale che non si limita a svolgere una mera funzione di protezione del reddito, ma offre nuove collaborazioni in grado di attivare le capacità individuali dei singoli, per metterli al servizio della comunità che , a sua volta, metterà tutti in grado di fronteggiare i rischi sociali emergenti, senza contare sulla risposta del sistema attuale, basato sul profitto e sull’individualismo, “sull’uno contro gli altri”.
Si tratta di un nuovo sistema sociale, con una prima fase di transizione, atto a favorire le capacità individuali e la condivisione di risorse per far fronte alla disfatta di questo sistema economico fallimentare, concentrato sui profitti, sui bisogni materiali e che ruota intorno alle istituzioni e Multinazionali.
L'esigenza di ricostituire un significativo legame comunitario, spesso anche affettivo e di vicinanza, sia fisica che emotiva, si rivela, per le nuove forme di povertà, il bisogno sociale più impellente, spesso anche più importante degli stessi bisogni materiali.
I nuovi bisogni sociali, le cui dinamiche si collocano dentro la società civile e le cui origini hanno a che vedere soprattutto con il venir meno del legame comunitario e quindi con la fragilità della stessa società civile, sono di tipo immateriale.
Questa inadeguatezza della società civile riguarda, in particolare, la carenza di relazioni, la rarefazione di quei circuiti di solidarietà, gestiti come “carità”, bontà e buonismo, la mancanza di cooperazione, ascolto, confronto, conforto e presenza che naturalmente dovrebbero caratterizzare una vera comunità sociale.
Il ruolo del gruppo sociale, formato da noi stessi, esseri umani, nella produzione del ben-essere va non solo implementato, ma correttamente individuato, valorizzato e attuato, aiutando così la società civile a ritrovare e realizzare la propria natura più profonda, quella essenza di comunità che permetta a tutti i suoi componenti, a partire dai più deboli, una partecipazione attiva e responsabile alla vita sociale.
Da “Progetto NET.MATE Fondazione Labos giugno 2007.
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